Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 138 — |
via, seguito dal delegato, mentre la signora Lalla, sostenuta dal marito e dalla studentessa di canto, riprendeva più a gemere che a gridare:
— Roberto! Roberto! Roberto!
Mauro Mortara restò a guatare, come annichilito. Quando il Passalacqua lo ragguagliò di tutto, e, fresco della recente lettura del giornale, gli espose tutta la miseria e la vergogna del momento:
— Questa, — disse, — questa è l’Italia?
E, nel crollo del suo gran sogno, non pensò più a Roberto Auriti, all’arresto di lui, non sentì, non vide più nulla. Vide soltanto le sue medaglie li por terra, calpestate.
Non t’incomodare!
Uscendo dalla casa di Roberto, Corrado Selmi s’imbattè per le scale nel delegato e nelle guardie che salivano ad arrestar l’innocente. Si fermò un istante, indeciso; ma subito si sentì occupare il cervello da una densa oscurità, e in quella tenebra d’ira e d’angoscia udì una voce, che dal fondo della coscienza lo ammoniva, ch’egli non poteva in alcun modo sul momento impedire quell’atroce ingiustizia. Seguitò a scendere la scala; rimontò in vettura e provò quasi stupore alla domanda del vetturino, ove dovesse condurlo. Ma a casa; c’era bisogno di dirlo? dove poteva più andare? che più gli restava da fare?
— Via San Nicolò da Tolentino.
E, come se già vi fosse, si vide per le scale della sua casa: ecco, entrava in camera; si recava all’angolo, ov’era uno stipetto a muro, di lacca verde: