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là.... al pianoforte! Lei suona, e noi balliamo! Roberto si metterà i calzoncini con lo spacco di dietro e la falda della camicina fuori; prenderà la sciaboletta e il cavalluccio di legno, quelli con cui giocò alla guerra, al Sessanta; gli faremo l’elmo di carta, e si metterà a girare attorno.... arrì!... arrì!... mentre io e Olindo balleremo al suono dell’inno di Garibaldi.... Va’ fuori d’Italia.... va’ fuori d’Italia.... va’ fuori d’Italia.... va’ fuori, o stranier!
Non aveva finito l’ultima battuta, che su la soglia del terrazzo si presentò, con gli occhi ilari e lagrimosi, raggiante di commossa beatitudine, Mauro Mortara, con le medaglie sul petto e lo zainetto dietro le spalle.
Appena lo vide, Corrado Selmi fece un gesto d’orrore e scappò via per l’altro finestrone che dava sul terrazzo, gridando:
— Ah perdio, no! Questo poi è troppo!
Roberto Auriti gli corse dietro per trattenerlo:
— Corrado! Corrado!
Mauro Mortara, a quella fuga, restò come smarrito innanzi allo stupore della signora Lalla, del Passalacqua e della studentessa di canto, alla meraviglia sorridente di Celsina e a quella ingrugnita di Antonio Del Re.
— Vengo, se non c’è offesa, — disse, — a salutare don Roberto. Parto domani.
— E voi chi siete? — gli domandò la signora Lalla, come se avesse innanzi un abitante della luna, piovuto dal cielo.
— Sono.... — prese a rispondere Mauro Mortara; ma s’interruppe riconoscendo Antonio Del Re. — Non siete il nipote di donna Caterina, voi?
E, pronunziando questo nome, si levò il cappello.
— Diteglielo voi, — soggiunse, — chi sono io