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giato verso il Governo per fini elettorali, per altri più loschi fini coperti; e che, favore per favore, il Governo avesse proposto leggi che per le Banche erano privilegi, e difeso i prevaricatori, proponendoli agli onori della commenda e del Senato. Ma non poteva negare che fosse stato aperto il credito a certi uomini politici carezzati, che in Parlamento e per mezzo della stampa avevano combattuto a profitto delle Banche falsarie, tradendo la buona fede del paese; e che questi gaudenti avessero voluto occultare ciò che da tempo si sapeva o si poteva sapere; e che, ora che le colpe avventavano, si volesse percuotere, ma con la speranza che la percossa ai più deboli salvasse i più forti. Certo, lo sdegno del paese nel veder così bruttati di fango alcuni uomini pubblici che nei begli anni dello eroico riscatto avevano prestato il braccio alla patria, si rivoltava acerrimo, adesso, anche contro la gloria della Rivoluzione, scopriva fango pur lì; e il cav. Cao si sentiva propriamente sanguinare il cuore. Era la bancarotta del patriottismo, perdio!

E fremeva sotto certi nembi d’ingiurie che s’avventavano in quei giorni da tutta Italia contro Roma, rappresentata come una putrida carogna.

In un giornale di Napoli aveva letto che tutte le forze si erano infiacchite al contatto del Cadavere immane; sbolliti gli entusiasmi; e tutte le virtù, corrotte. Meglio, meglio quando essa viveva d’indulgenze e di giubilei, affittando camere ai pellegrini, vendendo corone e immagini benedette ai divoti!

Ne fremeva il cav. Cao, perchè i clericali, naturalmente, ne tripudiavano.

Accompagnando talvolta Sua Eccellenza a Montecitorio, vedeva pe’ corridoi e per le sale tutti i deputati, giovani e vecchi, novellini e anziani, amici