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E alzò le mani per aggiustare sotto la gola a Olindo Passalacqua la cravatta rossa sgargiante, annodata a farfalla.
— Lo struzzo, — ripetè. — Quell’uccello che dicevi.... Così va bene!
Olindo Passalacqua restò di nuovo a bocca aperta.
— Grazie, — disse. — Ma dunque.... dunque possiamo star tranquilli?
Corrado Selmi lo guardò negli occhi, serio; gli posò le mani sugli omeri, e:
— Non sei censore tu? — gli domandò.
— Censore.... già, — rispose perplesso, quasi non ne fosse ben sicuro, il Passalacqua.
— E dunque, lascia crollare il mondo! — esclamò il Selmi con un gesto di noncuranza sdegnosa. — Censore, te ne impipi. Su, su, vieni su con me.
Trovarono Roberto abbattuto su una poltrona, con la faccia rivolta al soffitto, le braccia abbandonate, l’annaffiatojo accanto. Appena vide il Selmi, fece per balzare in piedi, e, arrangolando in una irrompente convulsione, andò a buttarglisi sul petto.
— Per carità! per carità! — scongiurò Olindo Passalacqua, correndo a chiudere l’uscio e accennando con le mani di far piano, che Nanna non sentisse di là.
Attraverso l’uscio chiuso, all’arrangolìo di Roberto sul petto di Corrado Selmi rispondeva di là il vocalizzo miagolante d’una studentessa di canto.
Corrado Selmi, gravato dal peso di Roberto, stette un po’ a guardare i cenni del Passalacqua, che seguitava a implorar carità per il cuore malato della sua povera moglie, carità per Roberto così perduto, carità per la casa che sarebbe andata a soqquadro; e scattò alla fine, scrollandosi, in una risata pazzesca: