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teva coi frantumi di essa, che dal tumulto interno balzavano a galla della sua coscienza squarciata: baloccarsi un poco.... Sì, in casa di Roberto Auriti! Doveva vederlo, dirgli che per lui, per coprirlo, si era messo da sè sotto accusa. Ecco che aveva ancora dove andare.
Chiamò una vettura, per non avvertire il tremore e la debolezza delle gambe, e diede al vetturino l’indirizzo: Via delle Colonnette.
Appena montato, se ne pentì, prevedendo, in compenso di quanto aveva fatto, una scenata. Ma no: a ogni costo avrebbe saputo impedirla. Più che doveroso, il suo atto gli appariva generoso verso Roberto Auriti. E, in quel momento, non poteva sentir che disprezzo della sua stessa generosità. S’era spogliato d’ogni prestigio, d’ogni prerogativa, per subir la stessa sorte d’uno sconfitto, che delle sue doti, de’ suoi meriti non aveva saputo avvalersi per farsi uno stato, per imporsi, come avrebbe potuto, alla considerazione altrui. Non pietà, ma sdegno e dispetto poteva ispirare Roberto Auriti. Che se pure egli, navigando alla ventura, lo aveva gittate con sè in quei frangenti, non meritava certo quel naufrago che Corrado Selmi, già quasi scampato, si ributtasse in mare per perire con lui: non lo meritava, perchè non aveva saputo mai vivere, quell’uomo, mai disimpacciarsi da ostacoli anche lievi: era già per sè stesso un annegato, cui tante e tante volte egli aveva gettato una fune per ajutarlo a trarsi in salvo. L’unica volta che quest’uomo s’era messo a dar lui ajuto, ecco, con la stessa mano che gli aveva teso, lo tirava giù con sè nel baratro, giù, giù, costringendolo a rinunziare al salvataggio altrui. E quel suo fratello corso in Sicilia per salvare entrambi: ma sì! tutti dovevano stare ad aspettare