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Fu al solito un discorso sinuoso, pieno di sottintesi e di velate allusioni, da cui parve a Capolino di poter desumere questo: che il Salvo era davvero fortemente impensierito non dalle condizioni politiche della Sicilia, ma dalle condizioni di spirito della figliuola, le quali tanto più dovevano dare da pensare, in quanto che la madre era pazza; ch’egli intendeva perciò di contentarla, se quel viaggio a Roma non riusciva agli effetti che se ne riprometteva; contentarla, anche perchè, uscita ormai di casa la sorella, egli, non avendo più alcuno che stésse attorno alla figliuola bisognosa di cure, d’affettuosa compagnia, di distrazioni, avrebbe dovuto sacrificare troppo gli affari, e non poteva (qui parve a Capolino di dover notare un grave rimprovero per sua moglie, che aveva osato di lasciar sola anche donna Adelaide nell’avvenimento delle nozze); contentarla, in fine, anche per dare ad Aurelio Costa (che presto, fra due o tre giorni, sarebbe ritornato in Sicilia) un premio degno, se riusciva a ridurre a ragione gli operai delle zolfare.
Queste deduzioni così chiare del lungo discorso a mezz’aria del Salvo costarono a Capolino un così intenso sforzo, che uno dei cristalli degli occhiali, continuamente appannati dagli sbuffi, gli s’infranse tra le dita nervose, a furia di ripulirlo. Fortuna che le scagliette del cristallo s’infissero soltanto nel fazzoletto, senza ferirgli le dita. Ma la sera dovette parlare, e seriamente, alla moglie, senza occhiali.
Nicoletta sapeva che l’improvviso arrivo di Flaminio Salvo e di Dianella a Roma era dovuto al Costa; più perspicace del marito, aveva subito. preveduto che questo arrivo avrebbe segnato la fine della sua cuccagna, ed era perciò così gonfia d’odio contro quello, che lo avrebbe ucciso senza esitare,