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vani, si sa, avevano da pensare a ben altro! Amare, sì.... la bella Gigogin.... un bacio, e:

                              Addio, mia bella, addio,
                              l’armata se ne va....

In fondo, a voler dir proprio, non avevano potuto far nulla a tempo e bene, nè studii, nè altro.... Nelle congiure, nelle battaglie erano stati come nel loro elemento; in pace, ora, erano un po’ come pesci fuor d’acqua. In vista, e senza uno stato; anziani, e senza una famiglia attorno.... Dovevan purtroppo commettere tardi e male tutte quelle corbellerie che non avevano avuto tempo di commettere da giovani, quando, per l’età, sarebbero stati più scusabili. E poi, anche....

Il cav. Cao, a questo punto, tornò a scuotersi come per un brivido alla schiena. Da alcuni giorni era veramente sbigottito della gravità e della tristezza del momento.

Tutte le sere, tutte le mattine, i rivenditori di giornali vociavano per le vie di Roma il nome di questo o di quel deputato al Parlamento nazionale, accompagnandolo con lo squarciato bando ora di una truffa ora di uno scrocco a danno di questa o di quella Banca.

In certi momenti climaterici, ogni uomo cosciente, che sdegni di mettersi con gli altri a branco, che fa? si raccoglie; pondera; assume secondo i propri convincimenti una parte, e la sostiene.

Ebbene, così aveva fatto il cav. Cao. Aveva assunto la parte dell’indignato e la sosteneva.

Non poteva tuttavia negare a sè stesso, che godeva in fondo dello scandalo enorme. Ne godeva sopra tutto perchè — investito bene della sua parte — trovava in sè in quei giorni una facilità di parola, una fecondità verbale che quasi lo inebriava,