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freddo e grave, che aveva fatto rompere, la prima volta, in una risata sua moglie:
— Oh povero Gnazio mio!
Ed ecco, segnatamente sua moglie non aveva più saputo vedersi d’attorno. Capolino: sua moglie che gli cercava gli occhi dietro quei nuovi occhiali, e non poteva in alcun modo prenderlo sul serio.
Venuta a Roma con lui per quindici o venti giorni, per un mese al più, Lellè vi si tratteneva da più che tre mesi e non accennava ancora, neppur lontanamente, di volersene partire. ch’era matta? Tripudiava, Lellè. Aveva trovato finalmente il suo elemento. Dai Vella, parenti di Flaminio Salvo, e un po’ anche del marito per via della prima moglie, era diventata subito di casa. A Francesco Vella piaceva il fasto, donna Rosa Vella era tal quale la sorella minore donna Adelaide, sbuffante e ridanciana, e i loro due figli, Ciccino e Lillina, se Nicoletta fosse andata a ordinarseli apposta, non avrebbe potuto trovarli più di suo gusto. Che amore quella Lillina! Rimasta nubile, ormai spighita nella simpatica bruttezza tutta pepe, era la compagna inseparabile del fratello Ciccino: più scaltra, più ardita, più vivace di lui, lo ajutava, lo difendeva, lo guidava, a parte di tutti i segreti più in tirai. Fratello e sorella non avevano mai pensato ad altro che a darsi buon tempo; e Nicoletta con loro, in pochi giorni era diventata una cavallerizza perfetta; era già andata tre volte alla caccia della volpe; e teatri e feste e gite: una cuccagna! Lillina sapeva sempre con precisione quando doveva farsi venire un po’ d’emicrania o qualche altro dolorino, per lasciare in libertà Ciccino e la nuova amica Lellè.
Ora Capolino, per quanto Roma fosse grande, da deputato e con gli occhiali serii non vi si vedeva