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— Ah, dunque, un giuoco? — esclamò Aurelio Costa. — Con la pelle degli altri?

— Ma che pelle! — fece Capolino, cxm una spallata.

— Con la mia pelle! con la mia pelle! — raffermò il Costa infiammato d’ira, di sdegno. — Con la mia pelle! Dovrò tornarci io laggiù, ad Aragona, tra i solfarai! E sa lei come li ritroverò, dopo sette mesi di sciopero forzato? Tante jene! Ma perchè dunque mi ha fatto promettere a tutti.... anche qua, anche qua, adesso, a Nicasio Ingrào, al figlio del Principe? E tutti gli studii fatti?

— Caro ingegnere, scusi, — disse pacatamente Capolino, con gli occhi socchiusi, trattenendo il sorriso, — lei pratica con Flaminio da tanti anni, e ancora non si è accorto ch’egli non è soltanto uomo d’affari, ma anche uomo politico. Ora la politica, sa? bisogna viverci un po’ in mezzo; la politica, signor mio, che cos’è in gran parte? giuoco di promesse, via! E lei, scusi, va a cacciarsi in mezzo proprio in questo momento....

— Io? — proruppe Aurelio Costa, ponendosi ambo le mani sul petto. — Io, in mezzo?

— Ma sì, ma sì, — affermò con forza Capolino. — Come un cieco, scusi! E non dico soltanto per questa faccenda qua, del progetto. Lei non vede nulla, lei non capisce.... non capisce tante cose! Dia ascolto a me, ingegnere: non s’impicci più di nulla! se ne torni al suo posto.... Mi duole, creda, sinceramente, veder fare a un uomo come lei, per cui ho tanta stima, una figura.... non bella, via! non bella....

Aurelio Costa restò dapprima, a queste parole, a bocca aperta, trasecolato; poi si fece in volto di mille colori e abbassò gli occhi per un momento; in fine, non riuscendo a frenar l’impeto della stizza;