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adesso da vicino! Poi, siamo giusti, non si vive, non si può vivere settanta e più anni, commettendo sempre eroiche azioni. Per forza qualche sciocchezza, o piccola o grande, si deve pur commettere. E una oggi, una domani, tirando infine la somma....

Si tirava, invece, così pensando, il cav. Cao un ispido pelo dei baffi, inverosimilmente lungo. Perbacco! Fin sul capo, gli arrivava.... Un pelo solo. Nero.

Per avvertir meno la stanchezza, la noja di quell’attesa, lavorava di fantasia. Un pajo di lenti di Sua Eccellenza, lì su la scrivania, eran diventati due laghetti gemelli; uno spazzolino da penne, un fitto boschetto di elci; il piano della scrivania, dov’era sgombro, una sterminata pianura, che forse primitive tribù migratrici attraversavano, sperdute.

Sua Eccellenza passeggiava per lo scrittojo, aggrondato, a capo chino, con le mani dietro la schiena. E il cav. Cao, alzando gli occhi a guardarlo, con l’immagine di quello spazzolino da penne nella retina, pensò che Sua Eccellenza aveva la schiena pelosa. Pelosa la schiena e peloso il petto. Lo aveva veduto un giorno nel bagno. Pareva un orso, pareva.

Ah quante cose, quante particolarità ridicole non aveva egli scoperto nella persona di Sua Eccellenza, da che non lo ammirava più come prima! Quella nuca, per esempio, così grossa e liscia e lucente, e tutti quei nerellini che gli pinticchiavano il naso, e quelle sopracciglia.... là, zì! e zì! — come due virgolette. Finanche negli occhi, negli occhi che gli incutevano un tempo tanta suggezione, aveva scoperto certe macchioline curiose, che pareva gli forassero la cornea verdastra.

Proprio vero: minuit praesentia famam! E si me-