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Carmen 79

nare i suoi errori, come il gran nome che portava le faceva aprire tutte le porte. E una squisita eleganza, una grazia innata fin nelle bizzarrie, un’ingenuità provocante fin nella stessa civetteria, l’aria di gran dama anche in un veglione, avida di piaceri e di feste, quasi divorata da una febbre continua di emozioni e di sensazioni diverse, una febbre che la consumava senza ravvivare il suo bel pallore diafano, né le sue labbra dolorose, ma che però la lasciava spesso in una prostrazione desolata, le dava delle ore di stanchezza e di uggia, di cui i suoi adoratori pagavano la pena: ore tremende — in cui non c’era altro da fare che prendere il cappello e andarsene — dicevano i forti, quelli che avevano pianto poi dietro l’uscio di lei. — Gli altri, coloro che cercavano di spiegare le sue follie, se non di scusarle, dicevano ch’era ammalata, ch’era matta — tutti i d’Altona erano morti tisici o dementi — che aveva provato dei gran dolori e dei gran disinganni, ch’era ferita a morte, condannata senza speranza, e voleva vivere vent’anni in venti mesi.

— Gliel’ha detto anche a lei, il mio amico Casalengo, che mi chiamano Carmen? — chiese ella ad Aldini, col sorriso mordente, la prima volta che un’ondata