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72 I ricordi del Capitano D'Arce

vise vi andò cogli altri, all’ora del thè, un giorno che il salotto era pieno di gente, e la bella Silverio faceva gran festa a tutti.

— Ah, Casalengo! Bravo! Temevo che fosse partito, o che mi avesse dimenticata.

Egli vi ritornò altre volte, nei giorni di ricevimento e anche dopo. Si fermava allo sportello della sua carrozza, al passeggio; e andava a salutarla nel palchetto, al San Carlo. Era sempre uno degli intimi, come prima, il cavalier servente dell’elegante mondana, mentre il marito di lei viaggiava lontano, talché non c’era persona che sapesse vivere la quale invitando la signora Ginevra dimenticasse di invitare Casalengo, e viceversa. Proprio il nido d’amore, tappezzato da Leverà, e col terrazzino sul golfo di Napoli per contemplare le stelle, e la luna di miele. Erano liberi, soli e senza alcun sospetto. Ma non era più la stessa cosa, o almeno non era più la stessa cosa di prima. Nella loro felicità aprivasi una lacuna, una crepa in cui s’abbarbicavano delle male piante che aduggiavano il bel sole d’amore e facevano impaccio alle parole e alle cose gentili. Lei, infine, non sapeva perdonare a Casalengo l’inchino profondo, l’aria troppo rispettosa con la quale veniva a salutarla,