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tervalli di silenzio che pesavano su tutti, quasi d’attesa funebre. A un certo punto l’uscio si spalancò e comparve prima l’istitutrice, col fazzoletto agli occhi, reggendo la fanciullina che sembrava svenuta; e il padrone di casa attraversò il salotto barcollando, senza salutare nessuno, fissando soltanto uno sguardo singolare su Ginoli che aveva chinato il capo. Dall’uscio rimasto aperto udivasi il rumore di un affaccendarsi frettoloso, nelle stanze dell’inferma. La cameriera era venuta correndo a prendere un candelabro dal caminetto. Allora gli zii e la vecchia signora le erano andati dietro. Come Ginoli si era alzato anche lui, vacillante, pallido come un cadavere, quasi non sapesse più quel che si faceva, la contessa Roccaglia lo fermò sull’uscio, dicendogli piano:
— No.... S’è confessata or ora... s’aspetta il Viatico....
Si udì il suono funebre di un campanello, e uno scalpiccìo di gente che saliva. Ginoli, dileguandosi come un’ombra, quasi inseguito dallo squillare di quel campanello, vide un’altra ombra in fondo all’anticamera, dinanzi a cui dovette chinare il capo, irresistibilmente.