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122 I ricordi del Capitano D'Arce

più di questo mondo. Non mi disse nulla; non sembrò nemmeno accorgersi di me. Stava zitta, chiusa, cogli occhi sbarrati e fissi. Il Comandante rispondeva per lei qualche parola, colla voce rauca, i capelli arruffati, la barba incolta, pallido anche lui, e col viso gonfio dalle notti insonni. Un momento appena, udendo la mia voce, ella volse su di me quegli occhi che non guardavano e non dicevano più nulla: e tornò a rivolgerli altrove, indifferente. Li attirava adesso soltanto una striscia di luce che moriva sulle tendine istoriate.

Fu l’ultima volta che la vidi. Dopo, l’uscio delle sue stanze rimase chiuso per tutti. Erano arrivati dei parenti da Venezia e da Genova. Gli amici erano tornati a chiedere di lei o a lasciare il loro nome alla porta: tutti coloro che avevano ballato in quella casa e vi avevano passato delle ore liete. Parecchi ci avevano perduto anche la testa, un tempo, e parlavano di lei che moriva, a voce bassa, prima di tornare al Circolo o al teatro, facendosi piccini dinanzi al marito che ripigliava il suo posto in casa sua, all’ultima ora, invecchiato in un mese, rispondendo alle condoglianze e alle strette di mano collo sguardo chiuso e la mano gelida.