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Quando la signora Silverio tornò insieme al marito — da Nuova York, da Melburne, chi lo sa? — tutti videro ch’era finita per lei, povera Ginevra. Metteva del rossetto; portava ancora la pelliccia nel mese di maggio; veniva a cercare il sole e l’aria di mare alla Riviera di Chiaja, dalle due alle quattro, nella carrozza chiusa, come un fantasma. Ma ciò che stringeva maggiormente il cuore era la macchia sanguigna di quell’incarnato falso nel pallore mortale delle sue guance, e il sorriso con cui rispondeva al saluto degli amici — quel triste sorriso che voleva rassicurarli.

Anche il Comandante non si riconosceva più: aveva la barba quasi grigia, le spalle curve, e delle rughe che dicevano assai su quella faccia abbronzata d’uomo