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congregavano1." Chi, non conoscendo altro di quello scrittore, prendesse questo ragionamento per misura del suo giudizio, s’ingannerebbe di molto. In varie ambascerie importanti, e in varie cariche domestiche, aveva avuto campo di conoscer gli uomini e le cose; e dà prova nella sua storia d’esserci non volgarmente riuscito. Ma i giudizi criminali, e la povera gente, quand’è poca, non si riguardano come materia propriamente della storia; sicchè, non c’è da maravigliarsi che, occorrendo al Nani di parlare incidentemente di quel fatto, non ci guardasse tanto per la minuta. Se alcuno gli avesse citata un’altra colonna, e un’altra iscrizione di Milano, come prova d’una sconfitta ricevuta da’ veneziani (sconfitta tanto vera, quanto il delitto di que’ mostri), certo il Nani si sarebbe messo a ridere.

Fa più maraviglia e più dispiacere il trovar lo stesso argomento e gli stessi improperi, in uno scritto d’un uomo molto più celebre, e con gran ragione. Il Muratori, nel "Trattato del governo della peste",

dopo avere accennato diverse storie di quel genere, "ma nessun caso", dice, "è più rinomato di quel di Milano, ove nel contagio del 1630, furono prese parecchie persone, che confessarono un sì enorme delitto, e furono aspramente giustiziate. Ne esiste tuttavia (e l’ho

  1. Nani, Historia veneta; parte I, lib. VIII, Venezia, Lovisa, 1720, pag. 473.