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della colonna infame 847

L’esito dell’impunità promessa al Baruello non si potè vedere, perchè costui morì di peste il 18 di settembre, cioè il giorno dopo un confronto sostenuto impudentemente contro quel maestro di scherma, Carlo Vedano. Ma quando sentì avvicinarsi la sua fine, disse a un carcerato che l’assisteva, e che fu un altro de’ testimoni fatti citar dal Padilla: “fatemi a piacere di dire al Sig. Podestà, che tutti quelli che ho incolpati gli ho incolpati al torto; et non è vero ch’io habbi chiapato danari dal figliuolo del Sig. Castellano... io ho da morire di questa infermità: prego quelli che ho incolpati al torto mi perdonino; et di gratia ditelo al Sig. Podestà, se io ho d’andar saluo. Et io subito”, soggiunge il testimonio, “andai a referire al Sig. Podestà quello che il Baruello m’haueua detto.”

Questa ritrattazione potè valere per il Padilla; ma il Vedano, il quale non era fin allora stato nominato che dal solo Baruello, fu atrocemente tormentato, quel giorno medesimo. Seppe resistere; e fu lasciato stare (in prigione, s’intende) fino alla metà di gennaio dell’anno seguente. Era, tra que’ meschini, il solo che conoscesse davvero il Padilla, per aver tirato due volte di spada con lui, in castello; e si vede che questa circostanza fu quella che suggerì al Baruello di dargli una parte nella sua favola. Non l’aveva però accusato d’aver composto, nè sparso, nè distribuito unguenti mortiferi; ma solamente d’essere stato di mezzo tra lui e il Padilla. Non potevan quindi i giudici condannar come convinto un tale imputato, senza pregiudicar la causa di quel signore; e questo fu probabilmente quello