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della colonna infame 845

sulla piazza del castello, dov’era arrivato il Padilla medesimo con altri, e l’aveva subito invitato ad essere uno di quelli che ungevano sotto i suoi ordini, per vendicar gl’insulti fatti a don Gonzalo de Cordova, nella sua partenza da Milano; e gli aveva dato danari, e un vasetto di quell’unto micidiale. Dire che in questa storia, della quale qui accenniam soltanto il principio, ci fossero delle cose inverisimili, non sarebbe parlar propriamente; era tutto un monte di stravaganze, come il lettore ha potuto vedere da questo solo saggio. Dell’inverisimiglianze però ce ne trovarono anche i giudici e, per di più, delle contradizioni: per ciò, dopo varie interrogazioni, seguite da risposte che imbrogliavan la cosa sempre più, gli dissero, che si esplichi meglio, perchè si possa cauar cosa accertata da quello che dice. Allora, o fosse un suo ritrovato per uscir d’impiccio in qualunque maniera, o fosse un vero accesso di frenesia, che ce n’era abbastanza cagioni, si mise a tremare, a storcersi, a gridare: aiuto! a voltolarsi per terra, a volersi nascondere sotto una tavola. Fu esorcizzato, acquietato, stimolato a dire; e cominciò un’altra storia, nella quale fece entrare incantatori e circoli e parole magiche e il diavolo, ch’egli aveva riconosciuto per padrone. Per noi basta l’osservare ch’eran cose nuove;