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838 STORIA

un difensore, col consiglio probabilmente di quelli ch’erano stati loro assegnati d’ufizio. Il 23 dello stesso mese, fu arrestato il Padilla;



cioè, come è attestato nelle sue difese, gli fu detto dal commissario generale della cavalleria, che, per ordine dello Spinola, dovesse andare a costituirsi prigioniero nel castello di Pomate; come fece. Il padre, e si rileva dalle difese medesime, fece istanza, per mezzo del suo luogotenente, e del suo segretario, perchè si sospendesse l’esecuzione della sentenza contro il Piazza e il Mora, fin che fossero stati confrontati con don Giovanni. Gli fu fatto rispondere “che non si poteua sospendere, perchè il popolo esclamaua...” (eccolo nominato una volta quel civium ardor prava jubentium; la sola volta che si poteva senza confessare una vergognosa e atroce deferenza, giacchè si trattava dell’esecuzion d’un giudizio, non del giudizio medesimo. Ma cominciava allora soltanto a esclamare il popolo? o allora soltanto cominciavano i giudici a far conto delle sue grida?... “ma che in ogni caso il signor Don Francesco non si pigliasse fastidio, perchè gente infame, com’erano questi duoi, non poteuano col suo detto pregiudicare alla reputatione del signor Don Giovanni.” E il detto d’ognuno di que’ due infami valse contro l’altro! E i giudici l’avevan tante volte chiamato verità! E nella sentenza medesima decretarono che, dopo l’intimazion di essa, fossero l’uno e l’altro tormentati di nuovo su ciò che riguardava i complici! E le loro deposizioni promossero torture, e quindi confessioni, e quindi supplizi; e se non basta, anche supplizi senza confessioni!

“Et così,” conclude la deposizione del segretario suddetto,