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DELLA COLONNA INFAME 789

intestini trangugiandolo, potesse avere un amuleto o patto col demonio, onde rasandolo, spogliandolo e purgandolo ne venisse disarmato1”. E questo era veramente de’ tempi; la violenza era un fatto (con diverse forme) di tutti i tempi, ma una dottrina di nessun tempo.

Quel secondo esame non fu che una ugualmente assurda e più atroce ripetizione del primo, e con lo stesso effetto. L’infelice Piazza, interrogato prima, e contradetto con cavilli, che si direbbero puerili, se a nulla d’un tal fatto potesse convenire un tal vocabolo, e sempre su circostanze indifferenti al supposto delitto, e senza mai accennarlo nemmeno, fu messo a quella più crudele tortura che il senato aveva prescritta. N’ebbero parole di dolor disperato, parole di dolor supplichevole, nessuna di quelle che desideravano, e per ottener le quali avevano il coraggio di sentire, di far dire quell’altre. Ah Dio mio! ah che assassinamento è questo! ah Signor fiscale!... Fatemi almeno appiccar presto... Fatemi tagliar via la mano... Ammazzatemi; lasciatemi almeno riposar un poco. Ah! signor Presidente! ... Per amor di Dio, fatemi dar da bere; ma insieme: non so niente, la verità l’ho detta. Dopo molte e molte risposte tali, a quella freddamente e freneticamente ripetuta istanza di dir la verità, gli mancò la voce, ammutolì; per quattro volte non rispose; finalmente potè dire ancora una volta, con voce fioca; non so niente; la verità l’ho già detta. Si dovette finire, e ricondurlo di nuovo, non confesso, in carcere.



  1. Oss. § III.