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DELLA COLONNA INFAME 777

arbitrio judicis1. E con questo non intendevan già di proporre un principio, di stabilire una teoria, ma d’enunciar semplicemente un fatto; cioè che la legge, non avendo determinato gl’indizi, gli aveva per ciò stesso lasciati all’arbitrio del giudice. Guido da Suzara, anteriore a Bartolo d’un secolo circa, dopo aver detto o ripetuto anche lui, che gl’indizi son rimessi all’arbitrio del giudice, soggiunge: “come, in generale, tutto ciò che non è determinato dalla legge2.” E per citarne qualcheduno de’ meno antichi, Paride dal Pozzo, ripetendo quella comune sentenza, la commenta così: “a ciò che non è determinato dalla legge, nè dalla consuetudine, deve supplire la religion del giudice; e perciò la legge sugl’indizi mette un gran carico sulla sua coscienza3.” E il Bossi, criminalista del secolo XVI, e senator di Milano: “Arbitrio non vuol dir altro (in hoc consistit) se non che il giudice non ha una regola certa dalla legge, la quale dice soltanto non doversi cominciar dai tormenti, ma da argomenti verisimili e probabili. Tocca dunque al giudice a esaminare se un indizio sia verisimile e probabile4.”

Ciò ch’essi chiamavano arbitrio, era in somma la cosa stessa che, per iscansar quel vocabolo equivoco e di tristo suono, fu poi chiamata poter discrezionale: cosa pericolosa, ma inevitabile nell’applicazion delle leggi, e buone e cattive; e che i savi legislatori cercano, non di togliere, che sarebbe una chimera, ma di limitare ad alcune determinate e meno essenziali circostanze, e di restringere anche in quelle più che possono.

E tale, oso dire, fu anche l’intento primitivo, e il progressivo lavoro degl’interpreti, segnatamente riguardo alla tortura, sulla quale il potere lasciato dalla legge al giudice era spaventosamente largo. Già Bartolo, dopo le parole che abbiam citate sopra, soggiunge: “ma io darò le regole che potrò.” Altri ne avevan date prima di lui; e i suoi successori ne diedero di mano in mano molte più, chi proponendone qualcheduna del suo, chi ripetendo e approvando le proposte da altri; senza lasciar però di ripeter la formola ch’esprimeva il fatto della legge, della quale non erano, alla fine, che interpreti.


  1. Bartol. ad Dig. lib. XLVIII, tit. XVIII, I. 22.
  2. Et generaliter omne quod non determinatur a iure, relinquitur arbitrio iudicantis. De tormentis, 30.
  3. Et ideo lex super indiciis gravat coscientias iudicum. De Syndicatu, in verbo: Mandavit, 18.
  4. Ægid. Bossii, Tractatus varii; tit. de indiciis ante torturam, 32.