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772 | storia |
anche la sua esperienza, chiama però bestiali que’ giudici che ne inventan di nuovi.1
Furono quegli scrittori, è vero, che misero in campo la questione del numero delle volte che lo spasimo potesse esser ripetuto; ma (e avremo occasion di vederlo) per impor limiti e condizioni all’arbitrio, profittando dell’indeterminate e ambigue indicazioni che ne somministrava il diritto romano.
Furon essi, è vero, che trattaron del tempo che potesse durar lo spasimo; ma non per altro che per imporre, anche in questo, qualche misura all’instancabile crudeltà, che non ne aveva dalla legge, “a certi giudici, non meno ignoranti che iniqui, i quali tormentano un uomo per tre o quattr’ore,” dice il Farinacci2; “a certi giudici iniquissimi e scelleratissimi, levati dalla feccia, privi di scienza, di virtù, di ragione, i quali, quand’hanno in loro potere un accusato, forse a torto (forte indebite), non gli parlano che tenendolo al tormento; e se non confessa quel ch’essi vorrebbero, lo lascian lì pendente alla fune, per un giorno, per una notte intera,” aveva detto il Marsigli3, circa un secolo prima.