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CAPITOLO XXXVIII. | 739 |
compagnia a desinare per il giorno dopo le nozze, al suo palazzo, dove si farebbe l’istrumento in regola.
— Ah! — diceva poi tra sè don Abbondio, tornato a casa: — se la peste facesse sempre e per tutto le cose in questa maniera, sarebbe proprio peccato il dirne male: quasi quasi ce ne vorrebbe una, ogni generazione; e si potrebbe stare a patti d’averla; ma guarire, ve’. —
Venne la dispensa, venne l’assolutoria, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella chiesa, dove, proprio per bocca di don Abbondio, furono sposi.
Un altro trionfo, e ben più singolare, fu l’andare a quel palazzotto; e vi lascio pensare che cose dovessero passar loro per la mente, in far quella salita, all’entrare in quella porta; e che discorsi dovessero fare, ognuno secondo il suo naturale. Accennerò soltanto che, in mezzo all’allegria, ora l’uno, ora l’altro motivò più d’una volta, che, per compir la festa, ci mancava il povero padre Cristoforo. “Ma per lui,” dicevan poi, “sta meglio di noi sicuramente.”