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CAPITOLO XXXVIII. 735

quando mi verrai davanti, con questa creatura, per sentirvi dire appunto certe paroline in latino, ti dirò: latino tu non ne vuoi: vattene in pace. Ti piacerà?”

“Eh! so io quel che dico,” riprese Renzo: “non è quel latino lì che mi fa paura: quello è un latino sincero, sacrosanto, come quel della messa: anche loro, lì, bisogna che leggano quel che c’è sul libro. Parlo di quel latino birbone, fuor di chiesa, che viene addosso a tradimento, nel buono d’un discorso. Per esempio, ora che siam qui, che tutto è finito; quel latino che andava cavando fuori, lì proprio, in quel canto, per darmi ad intendere che non poteva, e che ci voleva dell’altre cose, e che so io? me lo volti un po’ in volgare ora.”

“Sta’ zitto, buffone, sta’ zitto: non rimestar queste cose; chè, se dovessimo ora fare i conti, non so chi avanzerebbe. Io ho perdonato tutto: non ne parliam più: ma me n’avete fatti de’ tiri. Di te non mi fa specie, che sei un malandrinaccio; ma dico quest’acqua cheta, questa santerella, questa madonnina infilzata, che si sarebbe creduto far peccato a guardarsene. Ma già, lo so io chi l’aveva ammaestrata, lo so io, lo so io.” Così dicendo, accennava Agnese col dito, che