Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CAPITOLO XXVII. | 515 |
Ma per avere un’idea di quel carteggio, bisogna sapere un poco come andassero allora tali cose, anzi come vadano; perché, in questo particolare, credo che ci sia poco o nulla di cambiato.
Il contadino che non sa scrivere, e che avrebbe bisogno di scrivere, si rivolge a uno che conosca quell’arte, scegliendolo, per quanto può, tra quelli della sua condizione, perché degli altri si perita, o si fida poco; l’informa, con più o meno ordine e chiarezza, degli antecedenti: e gli espone, nella stessa maniera, la cosa da mettere in carta. Il letterato, parte intende, parte frantende, dà qualche consiglio, propone qualche cambiamento, dice: lasciate fare a me; piglia la penna, mette come può in forma letteraria i pensieri dell’altro, li corregge, li migliora, carica la mano, oppure smorza, lascia anche fuori, secondo gli pare che torni meglio alla cosa: perché, non c’è rimedio, chi ne sa più degli altri non vuol essere strumento materiale nelle loro mani; e quando entra negli affari altrui, vuol anche fargli andare un po’ a modo suo. Con tutto ciò, al letterato suddetto non gli riesce sempre di dire tutto quel che vorrebbe; qualche volta gli accade di dire tutt’altro: accade anche a noi altri, che scriviamo per la stampa. Quando la lettera così composta arriva alle mani del corrispondente, che anche lui non abbia pratica dell’abbiccì, la porta a un altro dotto di quel calibro, il quale gliela legge e gliela spiega. Nascono delle questioni sul modo d’intendere; perché l’interessato, fondandosi sulla cognizione de’ fatti antecedenti, pretende che certe parole voglian dire una cosa; il lettore, stando alla pratica che ha della composizione, pretende che ne vogliano dire un’altra. Finalmente bisogna che chi non sa si metta nelle mani di chi sa, e dia a lui l’incarico della risposta: la quale, fatta sul gusto della proposta, va poi soggetta a un’interpretazione simile. Che se, per di più, il soggetto della corrispondenza è un po’ geloso; se c’entrano affari segreti, che non si vorrebbero lasciar capire a un terzo, caso mai che la lettera andasse persa; se, per questo riguardo, c’è stata anche l’intenzione positiva di non dir le cose affatto chiare; allora, per poco che la corrispondenza duri, le parti finiscono a intendersi tra di loro come altre volte due scolastici che da quattr’ore disputassero sull’entelechia: per non prendere una similitudine da cose vive; che ci avesse poi a toccare qualche scappellotto.
Ora, il caso de’ nostri due corrispondenti era appunto quello che abbiam detto. La prima lettera scritta in nome di Renzo conteneva