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capitolo xxvi. | 503 |
dispiacere suo proprio; voleva dirle: cos’hai fatto? ma le pareva che sarebbe un prendersela col cielo: tanto più che Lucia tornava a dipinger co’ più vivi colori quella notte, la desolazione così nera, e la liberazione così impreveduta, tra le quali la promessa era stata fatta, così espressa, così solenne. E intanto, ad Agnese veniva anche in mente questo e quell’esempio, che aveva sentito raccontar più volte, che lei stessa aveva raccontato alla figlia, di gastighi strani e terribili, venuti per la violazione di qualche voto. Dopo esser rimasta un poco come incantata, disse: “e ora cosa farai?”
“Ora,” rispose Lucia, “tocca al Signore a pensarci; al Signore e alla Madonna. Mi son messa nelle lor mani: non m’hanno abbandonata finora; non m’abbandoneranno ora che... La grazia che chiedo per me al Signore, la sola grazia, dopo la salvazion dell’anima, è che mi faccia tornar con voi: e me la concederà, sì, me la concederà. Quel giorno... in quella carrozza... ah Vergine santissima!... quegli uomini!... chi m’avrebbe detto che mi menavano da colui che mi doveva menare a trovarmi con voi, il giorno dopo?”
“Ma non parlarne subito a tua madre!” disse Agnese con una certa stizzetta temperata d’amorevolezza e di pietà.