Pagina:I promessi sposi (1840).djvu/439


CAPITOLO XXIII. 433


“Me sventurato!” esclamò il signore, “quante, quante... cose, le quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne ho d’intraprese, d’appena avviate, che posso, se non altro, rompere a mezzo: una ne ho, che posso romper subito, disfare, riparare.”

Federigo si mise in attenzione; e l’innominato raccontò brevemente, ma con parole d’esecrazione anche più forti di quelle che abbiamo adoprato noi, la prepotenza fatta a Lucia, i terrori, i patimenti della poverina, e come aveva implorato, e la smania che quell’implorare aveva messa addosso a lui, e come essa era ancor nel castello...

“Ah, non perdiam tempo!” - esclamò Federigo, ansante di pietà e di sollecitudine. “Beato voi! Questo è pegno del perdono di Dio! far che possiate diventare strumento di salvezza a chi volevate esser di rovina. Dio vi benedica! Dio v’ha benedetto! Sapete di dove sia questa povera nostra travagliata?”

Il signore nominò il paese di Lucia.

“Non è lontano di qui,” disse il cardinale: “lodato sia Dio; e probabilmente...” Così dicendo, corse a un tavolino, e scosse un campanello. E subito entrò con ansietà il cappellano crocifero, e per la prima cosa, guardò l’innominato; e vista quella faccia mutata, e quegli occhi rossi di pianto, guardò il cardinale; e sotto quell’inalterabile compostezza, scorgendogli in volto come un grave contento, e una premura quasi impaziente, era per rimanere estatico con la bocca aperta, se il cardinale non l’avesse subito svegliato da quella contemplazione, domandandogli se, tra i parrochi radunati lì, si trovasse quello di ***.

“C’è, monsignore illustrissimo,” rispose il cappellano.

“Fatelo venir subito,” disse Federigo, “e con lui il parroco qui della chiesa.”

Il cappellano uscì, e andò nella stanza dov’eran que’ preti riuniti: tutti gli occhi si rivolsero a lui. Lui, con la bocca tuttavia aperta, col viso ancor tutto dipinto di quell’estasi, alzando le mani, e movendole per aria, disse: “signori! signori! haec mutatio dexterae Excelsi.” E stette un momento senza dir altro. Poi, ripreso il tono e la voce della carica, soggiunse: “sua signoria illustrissima e reverendissima vuole il signor curato della parrocchia, e il signor curato di ***.”

Il primo chiamato venne subito avanti, e nello stesso tempo, uscì di mezzo alla folla un: “io?” strascicato, con un’intonazione di maraviglia.