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capitolo ii. | 35 |
basta, so quel che dico. Noi poveri curati siamo tra l’ancudine e il martello: voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i superiori... basta, non si può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di mezzo.”
“Ma mi spieghi una volta cos’è quest’altra formalità che s’ha a fare, come dice; e sarà subito fatta.”
“Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?”
“Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?”
“Error, conditio, votum, cognatio, crimen,
Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
Si sis affinis,...”
cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
“Si piglia gioco di me?” interruppe il giovine. “Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?
“Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.”
“Orsù!...”
“Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V’è saltato il grillo di maritarvi...”
“Che discorsi son questi, signor mio?” proruppe Renzo, con un volto tra l’attonito e l’adirato.
“Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento.”
“In somma...”
“In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l’ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti.”
“Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?”
“Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet...”
“Le ho detto che non voglio latino.”
“Ma bisogna pur che vi spieghi...”
“Ma non le ha già fatte queste ricerche?”