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CAPITOLO XVI.




Sca



ppa, scappa, galantuomo: lì c’è un convento, ecco là una chiesa; di qui, di là, ” si grida a Renzo da ogni parte. In quanto allo scappare, pensate se aveva bisogno di consigli. Fin dal primo momento che gli era balenato in mente una speranza d’uscir da quell’unghie, aveva cominciato a fare i suoi conti, e stabilito, se questo gli riusciva, d’andare senza fermarsi, fin che non fosse fuori, non solo della città, ma del ducato. — Perchè, — aveva pensato, — il mio nome l’hanno su’ loro libracci, in qualunque maniera l’abbiano avuto; e col nome e cognome, mi vengono a prendere quando vogliono. — E in quanto a un asilo, non vi si sarebbe cacciato che quando avesse avuto i birri alle spalle. — Perchè, se posso essere uccel di bosco, — aveva anche pensato, — non voglio diventare uccel di gabbia. — Aveva dunque disegnato per suo rifugio quel paese nel territorio di Bergamo, dov’era accasato quel suo cugino Bortolo, se ve ne rammentate, che più volte l’aveva invitato a andar là. Ma trovar la strada, lì stava il male. Lasciato in una parte sconosciuta d’una città si può dire sconosciuta, Renzo non sapeva neppure da che porta s’uscisse per andare a Bergamo; e quando l’avesse saputo, non sapeva poi andare alla porta. Fu lì lì per farsi insegnar la strada da qualcheduno de’ suoi liberatori; masiccome nel poco tempo che aveva avuto per meditare