Pagina:I promessi sposi (1840).djvu/233


CAPITOLO XI. 227


“ Credo, signor padrone, d’aver date prove... ”

“ Dunque! ”

“ Dunque, ” ripigliò francamente il Griso, messo così al punto, “ dunque vossignoria faccia conto ch’io non abbia parlato: cuor di leone, gamba di lepre, e son pronto a partire. ”

“ E io non ho detto che tu vada solo. Piglia con te un paio de’ meglio... lo Sfregiato, e il Tira-dritto; e va di buon animo, e sii il Griso. Che diavolo! Tre figure come le vostre, e che vanno per i fatti loro, chi vuoi che non sia contento di lasciarle passare? Bisognerebbe che a’ birri di Monza fosse ben venuta a noia la vita, per metterla su contro cento scudi a un gioco così rischioso. E poi, e poi, non credo d’esser così sconosciuto da quelle parti, che la qualità di mio servitore non ci si conti per nulla. ”

Svergognato così un poco il Griso, gli diede poi più ampie e particolari istruzioni. Il Griso prese i due compagni, e partì con faccia allegra e baldanzosa, ma bestemmiando in cuor suo Monza e le taglie e le donne e i capricci de’ padroni; e camminava come il lupo, che spinto dalla fame, col ventre raggrinzato, e con le costole che gli si potrebber contare, scende da’ suoi monti, dove non c’è che neve, s’avanza sospettosamente nel piano, si ferma ogni tanto, con una zampa sospesa, dimenando la coda spelacchiata,

Leva il muso, odorando il vento infido,



se mai gli porti odore d’uomo o di ferro, rizza gli orecchi acuti, e gira due occhi sanguigni, da cui traluce insieme l’ardore della preda, e il terrore della caccia. Del rimanente, quel bel verso, chi volesse