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112 i promessi sposi


“ L’ho trovato io il verso, l’ho trovato, ” disse Renzo, battendo il pugno sulla tavola, e facendo balzellare le stoviglie apparecchiate



per il desinare. E seguitò esponendo il suo pensiero, che Agnese approvò in tutto e per tutto.

“ Son imbrogli, ” disse Lucia: “ non son cose lisce. Finora abbiamo operato sinceramente: tiriamo avanti con fede, e Dio ci aiuterà: il padre Cristoforo l’ha detto. Sentiamo il suo parere. ”

“ Lasciati guidare da chi ne sa più di te, ” disse Agnese, con volto grave. - “ Che bisogno c’è di chieder pareri? Dio dice: aiutati, ch’io t’aiuto. Al padre racconteremo tutto, a cose fatte. ”

“ Lucia, ” disse Renzo, “ volete voi mancarmi ora? Non avevamo noi fatto tutte le cose da buon cristiani? Non dovremmo esser già marito e moglie? Il curato non ci aveva fissato lui il giorno e l’ora? E di chi è la colpa, se dobbiamo ora aiutarci con un po’ d’ingegno? No, non mi mancherete. Vado e torno con la risposta. ” E, salutando Lucia, con un atto di preghiera, e Agnese, con un’aria d’intelligenza, partì in fretta.

Le tribolazioni aguzzano il cervello: e Renzo il quale, nel sentiero retto e piano di vita percorso da lui fin allora, non s’era mai trovato nell’occasione d’assottigliar molto il suo, ne aveva, in questo caso, immaginata una, da far onore a un giureconsulto. Andò addirittura, secondo che aveva disegnato, alla casetta d’un certo Tonio, ch’era lì