chiamava i bisogni della guerra, erano venuti, venivano alla città, come a sede antica e ad ultimo asilo di dovizia e di pia munificenza. Si potevano distinguere gli arrivati di fresco, più ancora che all’andare dubitoso e al- l’aria nuova, a una cera di stupore iracondo del trovare un tal colmo, un tal ribocco, una tanta rivalità di miseria, al termine dove avevan creduto di comparire oggetti singolari di compassione, e di attirare a sè gli sguardi e i soccorsi. Gli altri, che da più o men tempo giravano e abitavano le vie della città, stiracchiando la vita coi sussidii conseguiti o toccati come in sorte, in una tanta disparità tra il sussidio e il bisogno, portavano espressa nei sembianti e negli atti una più cupa e torpida costernazione. Varii d’abiti o di cenci e pur d’aspetto, in mezzo al comune stravolgimento: facce scialbe del basso paese, abbronzate del piano di mezzo e delle colline, sanguigne di montanari, tutte scarne e consunti, con occhi incavati, con un affisare tra il torvo e l’insensato, rabbaruffate le chiome, lunghe le barbe e orride: corpi cresciuti e indurati alla fatica, esausti ora dal disagio; raggrinzata la pelle sulle braccia aduste e sugli stinchi e sui petti ossuti, che apparivano dallo stracciume scomposto. E diversamente, ma