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tele, il quale, soleva egli dire, non è nè antico nè moderno; è il filosofo, senza più. Teneva anche varie opere de’ più savii e sottili seguaci di lui, fra i moderni: quelle de’ suoi impugnatori non aveva mai volute leggerle, per non gettare il tempo, diceva; nè comperarle, per non gettare i danari. Solo, in via d’eccezione, dava luogo nella sua biblioteca a quei celebri ventidue libri De sublilitate, e a qualche altra opera arti-peripatetica del Cardano, in grazia del costui valore in astrologia; dicendo che chi aveva potuto scrivere il trattato De restitutione temporum et motuum cœlestium, e il libro Duodecima geniturarum, meritava d’essere ascoltato anche quando spropositava; e che il gran difetto di quell’uomo era stato d’aver troppo ingegno; e che nessuno può immaginare dove sarebbe arrivato, anche in filosofia, se si fosse tenuto nella strada retta. Del rimanente, quantunque, nel giudizio dei dotti, don Ferrante passasse per un peripatetico consumato, pure a lui non pareva di saperne abbastanza; e più d’una volta ebbe a dire, con gran modestia, che l’essenza, gli universali, l’anima del mondo, e la natura delle cose non eran cose tanto chiare, quanto si potrebbe credere.
Della filosofia naturale si era fatto più un passatempo che uno studio; le opere stesse