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in cattedra, delle dodici case del cielo, dei circoli massimi, dei gradi lucidi e tenebrosi, di esaltazione e di deiezione, di transiti e di rivoluzioni, dei principii in somma più certi e più reconditi della scienza. Ed erano forse vent’anni che, in dispute frequenti e lunghe, sosteneva la domificazione del Cardano contro un altro dotto attaccato ferocemente a quella dell’Alcabizio, per mera ostinazione, diceva don Ferrante; il quale, riconoscendo volentieri la superiorità degli antichi, non poteva però sofferire quel non voler mai arrendersi ai moderni, anche dove hanno evidentemente ragione. Conosceva anche, più che mediocremente, la storia della scienza; sapeva a un bisogno citare le più celebri predizioni avverate, e ragionar sottilmente ed eruditamente sopra altre celebri predizioni fallite, per dimostrare che la colpa non era della scienza, ma di chi non l’aveva saputa applicare.
Della filosofia antica aveva appreso quanto poteva bastare, e ne andava continuamente apprendendo di più, dalla lettura di Diogene Laerzio. Siccome però quei sistemi, per quanto sieno belli, non si può tenerli tutti; e, a voler esser filosofo, bisogna scegliere un autore, così don Ferrante aveva scelto Aristo-