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Uomo di studio, egli non amava nè di comandare nè di obedire. Che, in tutte le cose della casa, la signora moglie fosse la padrona, in buon’ora; ma egli servo, no. E se, richiesto, le prestava all’occorrenza l’uficio della penna, egli è perchè vi aveva il suo genio; del rimanente, anche in questo sapeva dir di no, quando non fosse persuaso di ciò ch’ella voleva fargli scrivere. “La s’ingegni,” diceva in quei casi; “faccia da sè, giacchè la cosa le par tanto chiara.” Donna Prassede, dopo d’aver tentato per qualche tempo invano di tirarlo dal lasciar fare al fare, s’era ristretta a brontolar sovente contro di lui, a nominarlo uno schifapensieri, un uomo di suo capo, un letterato; titolo nel quale, insieme col dispetto, entrava anche un po’ di compiacenza.

Don Ferrante passava di molte ore nel suo studio, dove aveva una raccolta di libri considerabile, poco meno di trecento volumi: tutta roba scelta, tutte opere delle più riputate, in varie materie; in ognuna delle quali egli era più o meno versato. Nell’astrologia, era tenuto a buon diritto per più che un dilettante; perchè non ne possedeva soltanto quelle nozioni generiche e quel vocabolario comune, d’influssi, di aspetti, di congiunzioni; ma sapeva parlare a proposito, e come