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trovare, di prestar lo stesso uficio, per buon cuore, a molti verso cui non era obbligata a niente, aveva anche cinque figlie; nessuna in casa, ma che le davano assai più da pensare, che se vi fossero state. Tre erano monache, due maritate; di che donna Prassede si trovava naturalmente aver tre monasteri e due case a cui soprintendere: impresa vasta e complicata, e tanto più ardua, che due mariti; spalleggiati da padri, da madri, da fratelli, due badesse, fiancheggiate da altre dignità e da molte monache, non volevano accettare la sua soprintendenza. Era una guerra, anzi cinque guerre, coperte, urbane fino a un certo segno, ma attive, sempre veglianti: era in ognuno di quei luoghi una attenzione continua a scansare la sua sollecitudine, a chiuder l’adito ai suoi pareri, ad eludere le sue inchieste, a far ch’ella fosse al buio, quanto si poteva, d’ogni faccenda. Non parlo dei contrasti, delle difficoltà ch’ella incontrava nel maneggio di altri affari anche più estranei: si sa che agli uomini il bene bisogna, le più volte, farlo per forza. Dove il suo zelo poteva esercitarsi e giucar liberamente, era in casa: ogni persona quivi era soggetta, in tutto e per tutto, alla sua autorità, salvo don Ferrante, col quale le cose andavano in un modo affatto particolare.