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Nella lettera, il segretario d’Agnese, dopo qualche lamento sulla poca perspicuità della proposta, veniva a descrivere in un modo per lo meno altrettanto lamentevole, la tremenda storia di quella persona (così diceva); e qui rendeva ragione dei cinquanta scudi; poi scendeva a parlare del voto, ma per via di perifrasi, aggiungendo, con parole più dirette e spieganti, il consiglio di mettere il cuore in pace, e di non pensarci più.

Renzo, poco mancò che non se la pigliasse col lettore interprete: tremava, inorridiva, s’infuriava, di quel che aveva inteso, e di quel che non aveva potuto intendere. Tre e quattro volte si fece rileggere il doloroso scritto, ora intendendo meglio, ora divenendogli buio ciò che gli era paruto chiaro da prima. E in quella febbre di passioni, volle che il segretario desse subito mano alla penna, e rispondesse. Dopo le espressioni più forti che si possano immaginare di pietà e di terrore, pei casi di Lucia: a “scrivete,” proseguiva dettando, “che il cuore in pace io non lo voglio mettere, e non lo metterò mai; e che non sono pareri da dare a un figliuolo par mio; e che i danari io non li toccherò; che li ripongo, e li tengo in deposito, per la dote della giovane; che già la

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