Pagina:I promessi sposi (1825) III.djvu/411


405


— Ah! — diceva poi tra sè don Abbondio, tornato a casa: — se la peste facesse sempre e da per tutto le cose a questo modo, sarebbe proprio peccato il dirne male: quasi quasi ce ne vorrebbe una a ogni generazione; e si potrebbe stare a patti di fare una malattia. —

Venne la dispensa, venne l’assolutoria, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono con sicurezza trionfale proprio a quella chiesa, dove proprio per bocca di don Abbondio furono sposi. Un altro trionfo e ben più singolare fu, il dì appresso, l’andata a quel palazzotto; e vi lascio considerare che cose dovessero passar loro per la mente in salir quell’erta, all’entrare per quella porta; e che discorsi dovessero fare, ognuno secondo il suo naturale. Accennerò soltanto che, in mezzo all’allegria, or l’uno or l’altro menzionò più d’una volta, che, per compier la festa, vi mancava il povero padre Cristoforo. Ma per lui, dicevano poi, “sta meglio di noi sicuramente.”

Il signore fe’ loro gran festa, li condusse in un bel tinello, mise a tavola gli sposi con Agnese e con la cittadina; e prima di ritirarsi a pranzare altrove con don Abbondio, volle assistere a un po’ di quel primo con-