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fece buon viso: grandi rallegramenti con Lucia, saluti ad Agnese, complimenti alla forestiera. Le fece sedere; poi si gettò nel gran discorso della peste: volle sentire da Lucia come l’aveva passata in que’ guai: il lazzeretto porse opportunità di far parlare anche quella che le era stata compagna; poi, come era giusto, don Abbondio parlò anche della sua burrasca; poi dei gran mi rallegro con Agnese, che n’era uscita netta. La cosa andava in lungo: già fin dal primo momento, le due anziane stavano alla vedetta, se mai venisse il bel tratto di far parola dell’essenziale: finalmente non so quale delle due ruppe il ghiaccio. Ma che volete? Don Abbondio non ci sentiva da quell’orecchia. Guarda che dicesse di no; ma eccolo di nuovo a quel suo tergiversare e volteggiare e andar di palo in frasca. “Bisognerebbe,” diceva, “poter far levare quella catturaccia. Ella, signora, che è da Milano, conoscerà più o meno il filo delle cose, avrà delle buone protezioni, qualche cavaliere di peso: chè con questi mezzi si sana ogni piaga. Se poi si volesse andar per la più corta, senza imbarcarsi in tante storie; giacchè codesti giovani, e qui la nostra Agnese hanno già intenzione di spatriarsi (e io non so che dire: la patria