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mai potuto imaginarsela d’un umore così compagnevole e gaio. Ma il lazzeretto e la campagna, la morte e le nozze non son mica tuttuno. Con Agnese ella aveva già fatta amicizia; con Lucia poi era un piacere a vederla, tenera insieme e scherzevole, e come la stuzzicava garbatamente e senza sforzare, quanto appena ci voleva per dar più anima ai suoi moti e alle sue parole.
Renzo disse finalmente che andava da don Abbondio a prendere i concerti per lo sposalizio. V’andò, e, in una cert’aria di burla rispettosa, “signor curato,” gli disse: “le è poi andato via quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare? Adesso siamo a tempo; la sposa c’è: e son qui per sentire quando le sia comodo: ma questa volta, sarei a pregarla di far presto.”
Non già che don Abbondio rispondesse di non volere; ma cominciò a tentennare, a tirar fuori certe scuse, a far certe insinuazioni: e perchè mettersi in piazza e far gridare il suo nome, con quella cattura addosso? e che la cosa potrebbe farsi egualmente altrove; e questo e quest’altro.
“Ho capito,” disse Renzo: “ella ha ancora un po’ di quel mal di capo. Ma senta, senta.” E si fece a descrivere in che