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prendere, in vederlo passare, da quella gravità autorevole e castigatrice, ad una gravità, compunta e pensosa.
“Pur troppo!” disse Federigo, “tale è la misera e terribile nostra condizione. Dobbiamo esigere rigorosamente dagli altri quello che Dio sa se noi saremmo pronti a dare: dobbiamo giudicare, correggere, riprendere; e Dio sa quel che noi faremmo, nel caso stesso, quello che abbiamo fatto in casi simiglianti! Ma guai, s’io avessi da pigliar la mia debolezza per misura del dovere altrui, per norma del mio insegnamento. Pure, è certo che, con le dottrine, io debbo dare altrui l’esempio, non rendermi simile al fariseo, che impone altrui importabili pesi, i quali egli non vuol pur toccare col dito. Or bene, figliuolo e fratello; poichè gli errori di quei che presiedono sono spesso più noti altrui che non a loro; se voi sapete che io abbia, per pusillanimità, per rispetto qualunque, trascurato qualche mio obbligo, ditemelo francamente, fatemi ravvedere; affinchè, dove ha mancato l’esempio, sovvenga almeno la confessione. Rimostratemi liberamente le mie debolezze; e allora le parole acquisteranno più valore nella la mia bocca, perchè sentirete più viva-