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vane cappuccino, al quale egli disse: “fatemi la carità, padre Vittore, di attendere, anche per me, a questi nostri poveretti, intanto ch’io me ne sto ritirato: e se alcuno però mi domandasse me, vogliate chiamarmi. Quel tale principalmente! se mai desse il più picciolo segno di tornare in sentimento, ch’io ne sia subito avvisato, per carità.”

Il giovane frate rispose che farebbe; e il vecchio tornato verso Renzo, “entriamo qui,” gli disse. “Ma....” soggiunse tosto, fermandosi, “tu mi pari ben rifinito: tu dei aver bisogno di mangiare.”

“È vero” disse Renzo: “ora ch’ella mi ci fa pensare, mi ricordo che sono ancora digiuno.”

“Aspetta,” disse il frate; e, tolta un’altra scodella, l’andò a riempiere al pentolone; tornato, la presentò con un cucchiaio a Renzo; lo fe’ sedere sur un saccone che gli serviva di letto; poi andò a una botte che stava in un canto, e ne portò un bicchier di vino, che pose sur un deschetto presso al suo convitato; riprese quindi la sua scodella, e si mise a sedere accanto a lui.

“Oh padre Cristoforo!” disse Renzo: “tocca a lei di far codeste cose? Ma ella è sempre quel medesimo. La ringrazio mo di cuore.”