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Ma la consolazione di Renzo nel ritrovar così il suo buon frate, non fu netta pure un momento: insieme colla certezza ch’egli era lui, ricevette una dolorosa impressione del come egli era mutato. Il portamento, curvo e come doglioso; la faccia, scarna e sparuta; e in tutto si vedeva una natura esausta, una carne rotta e cadente, che si aiutasse e come si sorreggesse ad ogni istante, con uno sforzo dell’animo.

Andava egli pure tendendo lo sguardo nel giovane che veniva a lui, e che, col gesto, non osando colla voce, cercava di farglisi distinguere e riconoscere. “Oh padre Cristoforo!” disse poi, quando gli fu così presso, da essere inteso senza gridare.

“Tu qui!” disse il frate, mettendo in terra la scodella, e levandosi da sedere.

“Come sta ella, padre? come sta?”

“Meglio di tanti poveretti che tu vedi,” rispose il frate: e la sua voce era fioca, cupa, mutata come tutto il resto. L’occhio soltanto era quel di prima, o un non so che più vivo e più splendido; quasi la carità, sublimata nell’estremo dell’opera, ed esultante del sentirsi vicina al suo Principio, vi restituisse un fuoco più ardente, e più puro di quello che l’infermità vi andava ad ora ad ora spegnendo.