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i monatti hanno da restar soli a cantar vittoria e a sguazzare in Milano.”

“Viva la morìa, e muoia la marmaglia!” sclamò l’altro; e con questo bel brindisi, si pose il fiasco a bocca, e, tenendolo con ambe le mani, fra i trabalzi del carro, fe’ una tirata, poi lo porse a Renzo, dicendo: “bevi alla nostra salute.”

“Ve l’auguro a tutti di buon cuore,” disse Renzo: “ma non ho sete; non ho proprio voglia di bere in questo momento.”

“Tu hai avuto una bella paura, a quel che pare,” disse il monatto: “m’hai cera d'un pover’ uomo; voglion essere altri visi a far l’untore.”

“Ognuno s’ingegna come può” disse l’altro. “Dammelo qui a me,” disse un di quei che venivano a piedi, di costa al carro: “che voglio berne anch’io un altro sorso, alla salute del suo padrone, che si trova qui in questa bella compagnia.... lì, lì, appunto, mi pare, in quella bella carrozzata.”

E, con un suo atroce e maladetto ghigno, segnava il carro dinanzi a quello su cui stava il povero Renzo. Indi, composto il viso a un atto di serietà ancor più bieco e fellonesco, fe’ un inchino da quella parte, e ripigliò: “si contenta, padron mio, che un povero