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comparve alla finestra, tenendo in braccio un’altra più tenera sua diletta, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, fino a che il carro si mosse, finchè rimase in vista; poi sparve. E che altro ebbe a fare, se non deporre sul letto l’unica che le rimaneva, e corcarsele allato, a morire insieme?; come il fiore già rigoglioso in su lo stelo cade in un col fiorellino ravvolto ancora nel calice, al passar della falce che agguaglia tutte l’erbe del prato.

“O Signore!” sclamò Renzo: “esauditela! pigliatela con voi, lei e quella sua creaturina: hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza!”

Rinvenuto da quella commozione singolare, e mentre cerca di ridursi a memoria l’itinerario per trovare se alla prima via abbia a volgere, e se a dritta o a manca, ode anche da questa venire un altro e diverso strepito, un suono confuso di grida imperiose, di fiochi lamenti, di guai lunghi, di singhiozzi feminili, di garriti fanciulleschi.

Andò oltre, con in cuore quella solita trista e scura aspettazione. Giunto al crocicchio, vide da una banda una torma confusa che veniva innanzi; e si tenne lì fermo, fin ch’ella fosse passata. Era una condotta d’infermi av-