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in su le spalle, e lo ponevano su l’uno o su l’altro carro: alcuni coll’assisa del color rosso, altri senza quel distintivo, molti con uno ancor più odioso, pennacchi e cappi di vario colore, che quegli sciagurati portavano, come a dimostrazione di festa, in tanto publico lutto. Da qualche finestra veniva tratto tratto una voce lugubre: “qua monatti!” E con suono ancor più sinistro, da quel tristo bulicame usciva un’aspra voce di risposta: “adess’ adesso!” Ovvero erano lamentanze di vicini, istanze di far presto; alle quali i monatti rispondevano con bestemmie.
Entrato nella via, Renzo studiava il passo, cercando di non guardar quegl’ingombri, se non quanto era necessario per iscansarli; quando il suo sguardo vagante si abbattè in un oggetto di pietà singolare, d’una pietà che invogliava l’animo a contemplarlo: talchè egli si fermò, quasi senza averlo risoluto.
Scendeva dalla soglia d’un di quegli usci, e veniva inverso il convoglio una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata, e offuscata, ma non guasta, da una gran pena e da un languor mortale; quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. L’andar suo