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gittate dalle finestre; talvolta corpi, o esanimati di subito nella via, e lasciati quivi fin che un carro passasse, da raccorli; o sdrucciolati dai carri medesimi, o gittati pur dalle finestre: tanto l’insistere e l’imperversar del disastro aveva insalvatichiti gli animi e divezzatili da ogni cura di pietà, da ogni rispetto sociale! Cessato da per tutto ogni strepito di officine, ogni romor di carrozze, ogni grido di venditori, ogni favellìo di passeggieri, ben rado era che quel silenzio di morte fosse rotto da altro che da fragore di carri funebri, da querimonie di pezzenti, da guai d’infermi, da urla di frenetici, da vociferar di monatti. All’alba, al mezzodì, alla sera, una campana del duomo dava il segno di recitar certe preci proposte dall’arcivescovo: a quel tocco rispondevano le campane delle altre chiese; e allora avreste veduto persone farsi alle finestre, a pregare in comune; avreste inteso un bisbiglio di voci e di gemiti, che spirava una tristezza mista pure di qualche conforto.

Morti a quell’ora forse i due terzi de’ cittadini, usciti o languenti una buona parte del resto, ridotto presso che a niente il concorso dal di fuori, dei pochi che andavano attorno, non se ne sarebbe per avventura, in un lungo