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pochi passi, prese un’altra stradetta a mancina, che metteva nei campi; e senza veder nè sentire anima viva, giunse presso alla casetta dove si aveva disegnato l’ospizio. Già s’era fatto sera. L’amico stava seduto fuor dell’uscio, sur una panchetta di legno, colle braccia avvolte sul petto, cogli occhi fissi in cielo, come un uomo imbalordito dalle disgrazie e insalvatichito dalla solitudine. Sentendo una pedata, si volse, guardò chi venisse, e secondo che gli parve di vedere così alla bruna, tra i rami e le fronde, disse ad alta voce rizzandosi in piè, e levando ambe le mani: “non c’è altri che io? non ne ho fatto abbastanza ieri? Lasciatemi un po’ stare, che sarà anche questa un’opera di misericordia.”

Renzo, non sapendo che cosa questo volesse dire, gli rispose chiamandolo per nome.

Renzo.... disse quegli, sclamando insieme e interrogando.

“Proprio,” disse Renzo; e s’affrettarono l’uno verso l’altro.

“Sei proprio tu!” disse l’amico, quando furon presso: “oh che gusto ho di vederti! Chi l’avrebbe pensato? Io t’aveva preso per Paolin de’ morti, che vien sempre a a tormentarmi perchè vada a sotterrare. Sai che son rimasto solo? solo! solo, come un romito!”