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boli steli e le loro foglie poco dissimili, si tiravano giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si piglian l’un l’altro per appoggio. Il rovo era da per tutto; andava da una pianta all’altra, saliva, tornava all’ingiù; ripiegava i rami o li stendeva, secondo che gli venisse fatto; e, attraversato dinanzi al limitare stesso, pareva che fosse lì per contendere il passo anche al padrone.

Ma egli non si curava d’entrare in una tal vigna; e forse non istette tanto a rimirarla, quanto noi a farne questo po’ di schizzo. Si levò di là: pocodiscosto v’era la sua casa; passò per mezzo l’orto, scalpicciando a centinaia gli avveniticci, dei quali era popolato, coperto, come la vigna. Pose piede in sulla soglia d’una delle due stanzette che v’era a terreno: al romore delle sue pedate, al suo affacciarsi, uno sgominìo, uno scappare incrocicchiato di topacci, un tuffarsi dentro un pattume che copriva tutto il pavimento: era ancora il letto dei lanzichenecchi. Alzò gli occhi all’intorno sulle muraglie: scrostate, sudice, affumicate. Gli alzò alla soffitta: un parato di ragnateli. Altro non v’era. Si levò anche di là, mettendosi le mani ne’ capelli; tornò per l’orto, ricalcando il sentiero che aveva fatto egli, un momento prima; dopo