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sbetici: non c’è tempo da perdere. Stia a quieto: in un batter d’occhio son qui col Chiodo.”

Così detto, uscì, rabbattendo l’uscio.

Don Rodrigo, accovacciato, lo accompagnava colla fantasia alla casa del Chiodo, noverava i passi, calcolava il tempo. Di tanto in tanto si volgeva a sguardare il suo lato manco; ma ne torceva tosto via la faccia con ribrezzo. Dopo qualche tempo, cominciò a star cogli orecchi levati, se il chirurgo venisse: e quello sforzo d’attenzione sospendeva il senso del male, e teneva in sesto i suoi pensieri. Tutto a un tratto, ode uno squillo lontano, ma che gli sembra venir dalle stanze, non dalla via. Tende vie più gli orecchi; lo ode più forte, più ripetuto, e insieme uno stropiccìo di piedi: un orrendo sospetto gli corre per la mente. Si leva a sedere, e bada ancor più attento; ode un romore sordo nella stanza vicina, come d’un peso che venga posto giù con riguardo: gitta le gambe fuor del letto, come per alzarsi, guata all’uscio, lo vede aprirsi, vede presentarsi e venire innanzi due logori e sudici abiti rossi, due facce scomunicate, due monatti, in una parola; vede mezza la faccia del Griso che, nascosto dietro una imposta socchiusa, rimane a spiare.